mercoledì 28 marzo 2012

Tecnicamente diversi

La signora dal tacco basso, sobria, quella che tiene gli scontrini del cenone di Capodanno, talmente occupata a fare del bene come volontaria della Croce Rossa da lasciare spesso il frigo vuoto al marito intellettuale e professore che rincasava a tarda notte. Piccolezze che si possono perdonare quando a commetterle è Elsa Monti, moglie del presidente del Consiglio in loden. Fino a che a narrarle non è il buon Alfonso Signorini. Le cose stanno così. Mesi fa, dopo l'elezione di Monti, tutti coloro che sospiravano di sollievo per la sostituzione del bunga bunga col loden non nascondevano l'entusiasmo per la rispettabile noiosa borghesia della sciura Monti. Poi passano i mesi e la stessa operazione la fa il buon Alfonso Signorini sul numero di Chi in edicola oggi. Apriti cielo. Repubblica si duole constatando che pure le mogli dei tecnici abbiano voglia e bisogno di mettersi in mostra. Perché, insomma, il gossip politico è rispettabile doveroso e persino segno di libertà di informazione quando avviene sulle pagine dei quotidiani e invece è feccia quando avviene nei rotocalchi, peggio se di appartenenza berlusconiana. E si potrebbe discutere se non fosse che l'intervista del direttore di Chi alla first lady è piena zeppa di notizie gustose. E non solo la rivelazione che Cecilia Sarkozy influenzava (e molto) le scelte del marito. L'intervista è un capolavoro di snobismo travestito da intervista popolare a cuore aperto. Perché sarà pur vero che la signora rivela di guardare ogni tanto l'Eredità come la più media delle famiglie italiane mentre cuoce la pasta prima di cena. Ma poi enuncia uno dei princìpi chiave dello snobismo: mio marito non si è mai candidato a niente, neppure al Rotary. Gente così non si candida. Viene candidata. È molto diverso. Anzi è tecnicamente diverso. Capito, ignorantoni?

lunedì 26 marzo 2012

L'arte di rinnegare il passato

Dal Giornale del Popolo del 23 marzo
Quella di rinnegare il proprio passato è una moda antica come il mondo. Generalmente lo si fa ritenendo di aver compiuto un passo avanti nel presente. Solo da quel gradino più alto, infatti, si trova il coraggio di giudicare con inflessibile criticità ciò che si fece un tempo. E così ci ritroviamo in tempi di primavera incipiente a leggere l'importante presa di coscienza di Richard Gere che in un'intervista liquida come robaccia quel Pretty Woman con cui sbancò al botteghino al fianco di Julia Roberts. Evidentemente convinto di essere ormai cresciuto a forza di foto col Dalai Lama, il buon Richard si è sentito in dovere di far sapere al mondo che quel “filmetto” non era niente di che. Non solo. Veicolava pure diverse immagini sbagliate che hanno fatto male alla nostra società. Una dice: l'esistenza del principe azzurro? L'illusione che uomini emotivamente immaturi possano rinsavire nello spazio di una mattinata a piedi nudi nel parco? Forse, più ancora, l'idea che esista una giustizia contro la cattiveria gratuita delle commesse dei negozi di lusso con la puzza sotto il naso («Non sono mai gentili con le persone – diceva Richard alla prostituta Julia brutalizzata dalle commesse di una boutique. Lo sono con le carte di credito». E poi cominciava la musica che accompagna mentalmente ogni nostra sessione di shoppping anche se siamo all'H&M o alla Migros). O che cosa ancora? Forse l'idea che si possa imparare a usare l'argenteria a tavola o che sia possibile passare dagli stivali cuissard in lattice ai bermuda aranciati con camicetta di seta in una settimana. Niente di tutto questo. Il buon Richard Gere dice che il film dava un'immagine falsamente positiva dei ricchi finanzieri di Wall Street. Eggià. Prima di allora i prìncipi azzurri arrivavano su sobri ronzini e pallide utilitarie colo crema.

venerdì 16 marzo 2012

Il cambio di stagione, signora mia

Dal Giornale del Popolo del 16 marzo
È una sorta di sindrome da guerra imminente, per cui abbiamo il congelatore pieno di cibo e una madre in visita che ritiene vitale lavare le tende e la tappezzeria del divano. Sembra che da un momento all'altro potrebbe non esserci più tempo di fare nulla. Dormire, approntare uno straccio di sugo, mandare avanti una lavatrice. Sull'orlo del baratro bisogna fare tutto in fretta e non sarà un caso che il mobiletto portaverdure ordinato per Natale sia arrivato adesso. Certo che abbiamo vissuto anni con le tende zozze e senza un verduriere Foppapedretti. Ma giunge un momento in cui certe decisioni diventano improvvisamente urgenti. Così, per un amico che sta per recarsi a compilare la lista nozze con futura moglie e suocera c'è qualcuno che fa la famigerata pulizia del guardaroba. Eventi egualmente destabilizzanti, ma se il primo ha l'attenuante di accadere una volta nella vita; il secondo è potenzialmente ripetibile a ogni cambio di stagione. C'è l'amica che si giustifica dicendo che lei tiene tutte le stagioni insieme e dunque si ritiene dispensata dall'obbligo primaverile. Ma c'è anche chi quest'anno annuncia trionfante di aver buttato i vestiti immettibili, donato quelli riciclabili, fatto ordine nell'infinito regno delle possibilità che è il guardaroba di una ragazza. Fino alla frase impronunciabile: «Ormai alla mia età ho capito e accettato che non entrerò mai in una quarantadue». Devono essere questi, pensi nella sindrome da guerra imminente che ti ha portato a contare i jeans di tre taglie diverse che hai nell'armadio, gli effetti collaterali dell'iniziare a fare jogging: uno si accetta e corre via dai complessi di una volta. Sensazioni che nemmeno un verduriere e una tenda immacolata possono comprare.

venerdì 2 marzo 2012

Twitter saluta Lucio Dalla

È stata una veglia laica, tè e biscotti allo zenzero dell'Ikea con la comunione dei beni musicali in sottofondo. Tutto quello che avevamo sull'iPod di Lucio Dalla lo abbiamo ascoltato a ripetizione, un po' in sua memoria, un po' per rinfrescarci le idee in vista del giorno in cui si sarebbe detto di tutto. E in effetti è bastato consultare un paio di siti per rimanere sommersi dalle foto e dai ricordi. Tra i vari capitoli non poteva mancare quello dell'“addio del popolo di Twitter”. Ora, forse voi avete una vita sociale e persino un lavoro e ignorate l'esistenza di Twitter, ma vi basti sapere che è un social network meno impresentabile di Facebook, se non altro perché pone alle follie di chi lo utilizza il sacrosanto limite di 140 caratteri. Ieri i messaggi dedicati a Lucio Dalla, com'è comprensibile, non si contavano. Eppure le cose più importanti sono rimaste quelle non ripassate né “twittate”, ma scolpite nella mente da tempo immemorabile. Perché – lo abbiamo detto più e più volte – ogni volta che un cuore si spezza e si dice che bisogna andare avanti, altrettanto testardamente torna in mente quel “se d'amore è proprio vero che non si muore, cosa faccio nudo per strada mentre piove?” (Mambo). E perché per una canzone che ci interroga, sempre ce ne un'altra che ci fa piangere. E la primavera è di certo un'aggravante se ci vengono gli occhi lucidi persino su versi come «nascerà e non avrà paura nostro figlio e chissà come sarà lui domani, su quali strade camminerà cosa avrà nelle sue mani» (Futura). E forse non è un caso che l'unico verso di Lucio Dalla che ci sia venuto in mente a prova di Twitter sia questo: «Aspettiamo senza avere paura, domani». Ciao, Lucio.