venerdì 19 dicembre 2014

Se li ami (non) cucinerai per loro

Dal Giornale del Popolo del 19 dicembre

Una volta ti prendevano per una femminista osservante e un po' rompiscatole, oggi se rivendichi la liberazione dai fornelli sei semplicemente (e imperdonabilmente) fuori moda. In questo tempo in cui il cibo è diventato food e prima di mettere qualcosa a tavola lo si impiatta (e fotografa), non amare la cucina è peggio di non essere su Facebook. Di solito le magre, magrissime o ex anoressiche sono le più talebane, quelle alimentarmente consapevoli che hanno barattato la conta delle calorie con la certificazione di genuinità degli ingredienti. A tal punto siamo fan dei prodotti di stagione che abbiamo bisogno delle tavole prospettiche per conoscerne l'avvicendarsi nel corso dell'anno. È in questo tempo in cui cerchiamo disperatamente di tornare alle cose di una volta che è d'obbligo cucinare per i nostri figli. Torte, soprattutto; mentre loro venderebbero container di Lego per avere in cambio le merendine del Mulino Bianco. Ma noi, che conosciamo la percentuale di olio di palma contenuta in ogni biscotto ipocalorico, non ci facciamo corrompere, convinte di farlo per il loro bene. Poi succede che quei bambini siano pure allergici e che ci si debba imbarcare in una torta senza latte né uova. È nel giorno in cui l'assaggi e scopri che è anche senza sapore che capisci che, se davvero li ami, non cucinerai mai per loro. Ma selezionerai la gastronomia migliore, o l'amica con il forno facile e il cuore grande. E poi comprerai la candelina più bella della città.

venerdì 12 dicembre 2014

Il problema non è che stiamo troppo al cellulare. Ma che lui ci sta più di noi

Dal Giornale del Popolo del 12 dicembre

L'ordine di qua, il disordine di là. I tomi di Bruno Vespa nel comodino di mio padre; in quello di mia madre una base di riviste sotto un romanzo in cui gli occhiali da lettura sono infilati in mezzo come segnalibro. È nella geografia intima e affascinante delle nostre camere da letto che sta cambiando qualcosa. Anche noi abbiamo le nostre pile di libri e giornali, santini, bottiglie d'acqua, abat jour che accendono ricordi d'infanzia e un caricatore sempre attaccato per rifocillare lo smartphone. Poi arriva il giorno in cui quegli inquilini in più, il cellulare e in qualche caso anche l'iPad, ché ormai la lettura su tablet è stata definitivamente sdoganata, iniziano a farsi ingombranti. Il New York Times qualche giorno fa ci ha informato che qualcuno ha anche studiato il fenomeno, evidenziandone ovviamente le ricadute nefaste sulle nostre vite di coppia. Pare che a fare danni sia soprattutto l'asimmetria percepita. Insomma il problema non è che non ci parliamo più perché abbiamo troppi social network in cui dimostrare che esistiamo, ma che c'è sempre uno che esagera. L'altro, ovviamente. Ne parliamo sempre in quelle interminabili chat su whatsApp con le amiche che hanno lo stesso identico problema. Quelle di noi che hanno vietato il telefono a tavola come fanno le professoresse a scuola sono sempre combattute tra la clemenza e il rigore. Vince la clemenza quando bisogna condividere con l'amica del cuore quanto sia cafone quel maschio che ci siede davanti. E che continua a tormentare il suo schermo touch-screen invece dei cappelletti scotti nel piatto. 

venerdì 28 novembre 2014

Quelli che Linkedin è indispensabile

Dal Giornale del Popolo del 28 novembre

Dicono che bisogna iniziare sistemando il curriculum, chiedendo in giro e inventandosi qualcosa. Che non sei iscritta a Linkedin perché sistematicamente lo rifiuti come un pretendete petulante non interessa a nessuno. Tu vorresti illustrare a gran voce la tua teoria sull'ossimoro concettuale di parlare di social network utile e loro ti liquidano con un: "Se non sei lì, non esisti". Continuano a ripetere che il lavoro non viene a cercarti e che se non ci credi tu non si vede perché debba crederci qualcun altro. Continuano a dire che le nuove tecnologie non servono solo per cazzeggiare e gli amici non solo per chattare. Al culmine della beffa ripetono che hai grandi potenzialità e tu per un momento lunghissimo ti senti di nuovo in terza elementare, inchiodata a quel "è intelligente ma non si applica" che ti scalda come una coperta di Linus. Il lato positivo, dicono, è che riesci spontaneamente a risultare meno stupida di quel che sei. Però quando qualcuno ti chiede di sottoscrivere l'inganno ti metti una mano sulla coscienza (che equivale a un sussulto di pigrizia): non chiedetemi di sponsorizzarmi. È l'ultimo snobismo rimasto a cui aggrapparsi in questi momenti bui. E non potrà certo essere un'inezia come la sopravvivenza a farci buttare all'aria decenni di lavoro sulla narrativa di noi stesse.

venerdì 21 novembre 2014

I nostri figli, con nonni in forma e genitori angosciati

Dal Giornale del Popolo del 21 novembre

Stanno con i nostri figli, riescono a lavarli senza scatenare scene di panico né esondazioni della vasca da bagno. Riportano traguardi importanti a cui noi neppure ci applichiamo: così dopo un pomeriggio con loro un bambino di meno di un anno viene restituito in grado di battere le mani e tossire a comando. Vivono l'età dell'insonnia naturale, quindi non provano sentimenti irriferibili quando le creature li tengono svegli dalle tre di notte in poi. Ne approfittano per fare una lavatrice, condire l'arrosto, asciugare il lavandino. Rappresentano per noi, obtorto collo trascinati nella vita adulta, una specie di ideale irraggiungibile. Da adolescenti pensavamo che non saremmo mai diventato adulti (immaginandoci chissà quale morte violenta nobilitata dalle ragioni dell'arte o del rock), oggi pensiamo che non arriveremo mai all'età dei nonni dei nostri figli. Soprattutto siamo convinti che non ci arriveremo mai nella loro splendida forma. Quelli che cianciano di welfare dicono che è perché loro hanno la pensione, hanno iniziato a lavorare e diventare adulti quando con uno stipendio mediamente si poteva accendere un mutuo per comprare casa. La verità è che sono più forti. E anche quando non stanno bene sono comunque un'ideale di positività e vigore che appare impraticabile per noi incatenati a un'estetica pensosa e preoccupata della vita. I nonni dei nostri figli non hanno fatto la guerra, ma sono ugualmente attrezzati. E così per vedere le foto dei nipoti hanno persino addomesticato WhatsApp.

venerdì 14 novembre 2014

Passerà anche questo new normal e intanto nessuna amnistia

Dal Giornale del Popolo del 14 novembre

Molti di noi non sanno come rapportarsi a questa nuova moda della normalità. Pare infatti che il tempo degli hipster sia finito e che ormai la tendenza sia questa, dalla moda al marketing. Siccome ci si è inventati di tutto non resta che confidare nell'unicità di ogni essere umano, dicono quelli che se ne intendono. Sicché non c'è nessuna “divisa” metropolitana che serva a rassicurarci e farci appartenere a un gruppo. Quello che scegliamo (di indossare, comprare, ascoltare) lo scegliamo per essere noi stessi, non per assomigliare a qualcuno. Ieri sull'autobus avrei dovuto toccare la spalla al tizio davanti a me e rivelargli che, mentre lui vive con le mega cuffie attaccate all'iPhone, qualcuno ha decretato fuori moda i suoi pantaloni strettissimi. Pochi minuti dopo avrei dovuto fare lo stesso con le venticinque ragazze con occhiali sproporzionati che ho incontrato nella strada fino all'ufficio. Non l'ho fatto. E non solo perché da qualche parte avevo letto che ieri la giornata della gentilezza. In fondo gentilezza è anche dire a qualcuno che il suo tempo è passato. Non l'ho fatto perché mi hanno fatto tenerezza. Non loro, come tutti noi emulatori di qualche moda, ma gli altri, quelli che celebrano la moda della normalità come liberatoria. Quelli che si illudono che questa tendenza sia una sorta di amnistia dello stile, in cui verranno rimessi in libertà i piumini non ecologici, le Pinko Bag e le Camper in una sorta di resurrezione degli scheletri contenuti in ogni armadio. Perché, come diceva Humpty Dumpty all'ingenua e meravigliata Alice, «il punto è chi è che comanda, tutto qui».

giovedì 13 novembre 2014

Muffa e cinismo


Dal Giornale del Popolo del 7 novembre
All'asilo hanno festeggiato Halloween, dando così occasione alla maestra di tessere le lodi della mamma di tizia che ogni anno, nonostante abbia degli altri piccoli a casa, confeziona biscotti a forma di zucche e streghette per tutti. «Figurati se li fa davvero lei...», è stato il commento di chi più che la perizia culinaria le invidia la magrezza e le gambe chilometriche. Abbiamo riflettuto sulla inutile (e ingiusta) concentrazione di troppe doti in una sola persona, abbiamo parlato di ingiustizie quando sappiamo che l'unica cosa che invidiamo a questa gente, persino più della taglia 40, è la leggerezza. Le loro belle bambine non mangiano zuccheri né biscotti zeppi di olio di palma perché la mamma ne ha già preparati di sanissimi, perché la loro perizia arriva dove nessuna velleità di spesa biologica può arrivare. Abbiamo riso a lungo dei loro corsi di yoga, della determinazione nel fare i dolci con l'aiuto dei bambini, mentre a casa nostra ci vorrebbe l'analista per ogni spolverata di farina che finisce per terra quando a fare dolci sono gli adulti e non i bambini. Abbiamo sempre riso di loro, delle abitudini sane, con la solida convinzione che il cinismo curasse l'invidia e anche la tristezza. Tristezza per non essere capaci di fare tutte le cose che fanno queste persone efficienti e serenissime e per questa faccia addolorata da giovane Werther che ci portiamo addosso. Non perché non sappiamo fare i biscotti, ma perché la muffa è tornata per la seconda terribile volta nel nostro armadio. E si accanita su quel poco Chanel che potevamo vantare.

venerdì 31 ottobre 2014

Ragazze, quei corpi *sono* perfetti. E il petizionismo abbruttisce

Dal Giornale del Popolo del 31 ottobre

Siamo diventati un popolo di lanciatori di petizione, mettitori di mani avanti ansiosi di puntualizzare che quello che vediamo scintillare nella pubblicità potrebbe non essere identico nella vita reale. Hai visto mai che qualcuno pensasse che il cioccolato e le nocciole danzassero nell'etere prima di tuffarsi nella dolce cialda del Kinder Bueno. O che gli omini antimacchia contenuti nel nostro detersivo non siano realmente pronti a mostrare i muscoli quando apriamo il flacone per far partire la lavatrice. Hai visto mai, dico io, che qualcuno non avesse capito che l'essere migliorativa ai limiti dell'ingannevolezza, è l'essenza della pubblicità. Nessuno si aspetta la verità, quella con i chiaro scuri e i pro e i contro. Chi ne volesse almeno una buona imitazione frequenterebbe i forum on line, dove c'è sempre un sedicente inflessibile recensore di qualunque cosa. Perciò voglio dire una cosa alle studentesse americane che hanno lanciato una petizione sul web perché si sono sentite offese dalla campagna di Victoria's Secret dove modelle magre ma con le rotondità al posto giusto posano in biancheria intima sotto lo slogan The perfect body, il corpo perfetto. Le studentesse obiettano che definire perfetti quei corpi è offensivo per le donne che non portano la quarantadue. Ragazze, quella è forse una delle poche pubblicità oneste. Quelle signorine sono davvero perfette. E lanciare petizioni per la revisione dei canoni di perfezione non vi renderà più a vostro agio con voi stesse. Soprattutto perché il “petizionismo rivendicativo” abbruttirebbe anche le migliori.

Zellweger, l'accettazione sociale e il decoupage

Dal Giornale del Popolo del 24 ottobre

Come abbiamo fatto a non capirlo prima? È lo stile di vita sano, sinonimo o mal che vada sottoinsieme della felicità, a rendere bellissime. Ma che dico bellissime: liscissime, prive di ogni ruga, tirate al punto da fare a meno di tutta l'espressività superflua. Perché rischiare una miriade di espressioni quando si può accontentarsi di quella giusta? Poi il caso vuole che quella giusta sia un ghigno in cui il sorriso è in predicato perenne di divenire tragedia e non c'è più niente da fare. Soprattutto: non c'è più niente da distinguere e una Donatella Versace è solo l'ultimo anello di una catena tragica che comincia con Nicole Kidman e prosegue con Meg Ryan o quel che resta di loro. Stiamo parlando della plastica, del botox, dei ritocchi e tutto quello che, come uno strato di decoupage su un mobile vecchio, si sovrappone fino a che un giorno ti svegli e non sai più se quella su cui hai iniziato a lavorare era una sedia o una lampada. Qualche giorno fa Renee Zellweger, l'attrice di Bridget Jones, è apparsa molto diversa da come ce la ricordavamo. Di fronte alle foto del passato fornite dai tabloid l'attrice ha detto che sono sciocchezze, è diversa perché finalmente vive una vita sana e più felice. Dopo decenni di assuefazione e quella che pensavamo una discreta accettazione sociale siamo ancora lì: il ritocchino va sempre negato. E rimane aperto il dilemma che ci assale di fronte a quelle anime deturpate da labbra a canotto e zigomi schizzati a un paio di centimetri dalla fronte: c'è davvero un canone di bellezza che non comprendiamo e a cui queste signore plasticamente rispondono? O semplicemente si sono fatte sfuggire il bisturi di mano?

venerdì 10 ottobre 2014

Il vaccino che non c'è

Dal Giornale del Popolo del 10 ottobre

Ancora una passata di shampoo e sarebbe finita a prospettare un ritorno della Sars o dell'influenza aviaria. Sono le ultime due malattie che mi sono venute in mente, lei, la mia vicina di doccia nella piscina che non frequentavo da davvero troppo tempo, si è limitata a parlare del virus Ebola. “Perché con tutta la gente che entra in queste piscine, vuoi vedere che non arriva pure l'Ebola?” ha detto come se il virus potesse prendere un biglietto dell'autobus ed entrare dall'ingresso principale con la faccia diabolica come facevano i virus del cartone Esplorando il corpo umano. Dalla mini enciclopedia tratta da quel cartone animato ho imparato l'esistenza dei globuli rossi; con l'Allegro Chirurgo l'esistenza del Pomo d'Adamo. Le mie conoscenze mediche si fermano lì e non mi rimane che sperare che nelle nostra discendenza compaia prima o poi qualcuno che pratica professioni davvero utili (se non un'estetista, almeno un medico, Signore mio). Continuando a insaponarmi con sempre maggiore vigore ho cercato di riportare equilibrio nel discorso, dicendo quelle cose che persino un'ignorante che non guarda un telegiornale da giorni ha ormai sentito da qualche parte: il contagio avviene solo per contatto diretto con un malato, l'incubazione può durare fino a 21 giorni e le basilari norme di igiene personale servono più degli allarmismi. Però non ho avuto il cuore di dirle davvero tutta la verità, quella scomoda, dura, difficile da accettare. Che purtroppo contro l'ottusità non c'è vaccino. 

venerdì 3 ottobre 2014

George e Amal, c'è posto per voi

Dal Giornale del Popolo del 3 ottobre

Le case piccole e i traslochi sono spietati. Ti mettono di fronte a tutto quello che hai custodito per anni e che sembrava così indispensabile mentre prendeva polvere sullo scaffale più alto della libreria più piccola. Poi arrivano delle necessità impellenti (imbianchi casa o sei costretta per cause di forza maggiore a fare gli scatoloni) e tutto si rimette in discussione. Ad ogni ritrovato ci siamo guardate con l'amica fidata, cercando nell'approvazione altrui un rimedio al nostro incommensurabile sconforto. Tra la polvere sono saltati fuori diversi libri ormai inservibili e una miriade di rotocalchi. A un occhio non esperto poteva sembrare spazzatura e invece c'era tutto, conservato con una precisione che se applicata ai risparmi o ai conti di casa ci renderebbe ricche. Vado in ordine sparso: copertina di Chi con Berlusconi pre lifting con figli e nipoti; matrimonio Gregoraci-Briatore con svariati approfondimenti sulle difficoltà di allattamento del piccolo Falco (qualcuno ricorderà che una improvivsa visita della Guardia di Finanza fece andare via il latte alla signora Briatore); bibliografia nutrita di matrimonio Kate e William, compreso monografico di Newsweek intitolato “Keat the Great”; le prime foto di Shiloh Jolie-Pitt su People; un Panorama strappalacrime dopo la morte di Pietro Taricone. Ora abbiamo molta polvere sulle mani, qualche cimelio scampato alla furia ordinatrice e molto spazio. Molto spazio per le lunghissime gambe della signora Clooney e per almeno un paio di foto di quello che molti giornali hanno avuto il coraggio di definire “matrimonio a sorpresa”, solo perché s'è svolto in albergo anziché in un altro posto.

La privacy per un pugno di like

Dal Giornale del Popolo del 26 settembre

A ormai due anni dalla nascita della figlia Blue Ivy, Byoncé ha diffuso un video in cui posa provvista di pancione ignudo insieme al marito Jay Z. Solo così –forse – si sopiranno le maldicenze sulla falsità della sua gravidanza, che qualcuno ipotizzava risultato di una madre surrogata per il solo fatto che la cantante non si era mai fatta fotografare nuda col pancione. Certo qualcuno continuerà a fantasticare, perché la madre dei complottisti è sempre incinta, ma in genere buona parte di noi può mettersi l'animo in pace perché “ha visto” quanto basta. Perché fotografare (e filmare) non basta se non c'è qualcuno che può ammirare le nostre prodezze. Quello che è maledettamente vero per le celebrità è terribilmente vero anche per i comuni mortali. Perché noi ci scandalizziamo se Belen Rodriguez pubblica su Facebook non solo le sue foto ma anche quelle del figlioletto. Ma poi siamo sempre alla scrivania della compagna di ufficio a commentare gli scatti di amiche perse di vista da anni che su Facebook esibiscono la prole. Byoncé l'ha fatto in un concerto, Belen usa Instagram tutti i giorni. Lo fanno quasi tutte le celebrità. E sopratutto lo fa la metà delle mamme attente e consapevoli, regine di case piene di vestiti in cotone organico e giochi di legno. Teoricamente molto contrarie a diffondere foto dei piccoli. Ma pronte a tradire qualunque principio per un pugno di like.

mercoledì 24 settembre 2014

Tesoro, facciamo i conti. In margine a un matrimonio tra Puglia e Liguria

Dal Giornale del Popolo del 19 settembre

Lei dice che è il suo modo di vivere da donna indipendente, che ha badato a se stessa ben oltre l'adolescenza ed è abituata così. Lui sostiene (giurando che le origini pugliesi non c'entrano nulla) che ora che stanno per sposarsi e avranno tutto in comune, ha senso che anche i conti in banca siano uniti nel sacro vincolo della solidarietà coniugale. Lei sa per certo che lui non controllerà, che non è uno di quelli che starebbe lì a farle le pulci per un paio di scarpe. Lui conosce la misura della sua futura moglie, che certo non può essere definita una scialacquatrice. Azzarda che la sua fiera difesa del conto personale sia il risultato delle sue origini liguri ma lei nega. C'è di mezzo la riservatezza, un modo di vivere, una gestione della propria vita ormai consolidata, tutti elementi che mancavano quando ci si sposava poco più che bambini. Ora non è più così. Il mondo si è talmente evoluto che le partecipazioni si fanno autonomamente su internet, i parenti sono invitati solo fino al primo grado (un bel sollievo per il portafoglio se uno dei due ha ascendenze non esattamente nordeuropee) e agli invitati non è richiesto l'abito lungo ma solo il decoro di non presentarsi ignude come Belen al matrimonio della Canalis Ecco. Il mondo è cambiato. I conti saranno separati e soprattutto non c'è alcuna possibilità che gli ospiti se ne tornino a casa con un accendino con immagine di padre Pio come bomboniera.

giovedì 18 settembre 2014

Un pargolo sul referendum scozzese

Dal Giornale del Popolo del 12 settembre

Un'altra sessione di “extreme morning sickness” e la possibilità che David Beckham sia scelto come padrino di battesimo. Per la seconda gravidanza della duchessa di Cambridge non potevamo chiedere un inizio migliore, con notizie in grado di scatenare tutta l'emozione e la riprovazione che si addicono all'arrivo di un nuovo Royal Baby. In lizza per il posto di padrino e madrina ci sarebbero anche il principe Harry e la sorella di Kate, Pippa. In questi mesi durissimi potremo scandagliare l'esile figura della Duchessa, confrontare con la gravidanza precedente la forma della pancia e l'aumento di peso. Avremo il tempo per analizzare la differenza di età tra i due fratelli ed esibirci in dissertazioni non richieste sul fatto che i figli vanno fatti a distanza ravvicinata, così "non si perde l'allenamento signora mia". Confronteremo le tutine di George e quelle del secondogenito, per scoprire se anche nelle vite dei reali questi sia costretto ad ereditare i vestiti del fratello maggiore. Ebbene sì: Kate Middleton aspetta un altro bimbo (o bimba) e c'è chi prevede che la gravidanza possa influenzare addirittura l'imminente referendum per l'indipendenza della Scozia. D'altronde, è una lezione che le eroine di Beautiful ci hanno insegnato negli anni, i bambini uniscono anche le peggiori famiglie. 

Whatsapp e la tecnologia che ci consentiva di tirarcela

Dal Giornale del Popolo del 5 settembre

Immaginate di essere davanti a vostro marito, di parlargli e di disporre di un marchingegno per sapere con certezza che quel che gli state dicendo è stato sentito e perfino compreso. A quel punto nessun televisore troppo alto, nessun dialogo con i bambini, nessun telefono che squilla sarebbe un alibi credibile se il malcapitato sostenesse di aver dimenticato qualcuna delle vostre indispensabili richieste. È più o meno questo quello che abbiamo temuto tutti l'altra sera, quando qualche spiritoso che andrebbe denunciato per procurato allarme ha messo in giro la voce che Whatsapp, il famoso programma di messaggistica istantanea, stava per inserire una notifica di lettura dei messaggi. Ci siamo figurate un futuro privo di alibi e di scuse e pieno di paranoie su paranoie: se ha letto il mio messaggio perché non risponde? E perché risponde dopo così tanto tempo? Nella preistoria degli sms conoscevo una tizia che ai messaggi che le interessavano particolarmente (non sapeva ancora precisamente “quanto” particolarmente le interessassero, ma questo è un dettaglio) rispondeva con almeno tre, quattro ore di ritardo. Poco dopo lui iniziò a fare lo stesso. Il corteggiamento fu lunghissimo per evidenti questioni tecniche. Bei tempi, quelli in cui la tecnologia ci permetteva di tirarcela. Ed eravamo così giovani e spavaldi da non preoccuparci neppure per un istante della parola notifica.

venerdì 29 agosto 2014

Brad, Angelina e i matrimoni degli ex al tempo della consciousness

Dal Giornale del Popolo del 29 agosto

Così alla prossima presunta star che sostiene di essere stata “pizzicata” dai paparazzi saprete che non dovete credere. Angelina Jolie e Brad Pitt si sono sposati il weekend scorso in Francia e nessuno ne ha saputo niente fino a ieri, a dimostrazione del fatto che tenere nascosto qualcosa alla stampa è possibile eccome, soprattutto con l'ausilio di molti stipendiati tra ufficio stampa e gestione domestica. Osservazioni comunicative a parte, è fatta. Il più bello del pianeta ha sposato la più bella del pianeta, compiendo così il gesto più tradizionale e antico di sempre e l'hanno fatto dopo molti di noi e prima di molti altri. Hanno fatto quello che fa un sacco di gente e il tempo – e le esclusive stampa di cui speriamo di usufruire presto – ci diranno come l'hanno fatto. Se con qualche rito officiato da rappresentanti dell'Onu, con quanti bambini adottivi a tenere il velo e portare gli anelli, con che tipo di contratto prematrimoniale e a quale associazione benefica abbiano devoluto fior di quattrini al posto delle bomboniere. E noi che pensavamo di doverci occupare dei matrimoni di George Clooney ed Elisabetta Canalis con i rispettivi (e irrilevanti) nuovi fidanzati. E noi che pensavamo di dover sviscerare il grande tema “quando si sposa un tuo ex” nel tempo della consciousness e insomma di come si possa ostentare indifferenza per un evento che normalmente suscita i peggiori sentimenti per il solo fatto che qualcuno occupa un territorio un tempo colonizzato dai nostri sentimenti. Doveva essere tutto un'altra fine d'estate. Deve averlo pensato anche Jennifer Aniston.

venerdì 8 agosto 2014

Il parrucchiere che vogliamo è senza pietà

Dal Giornale del Popolo dell'8 agosto

Non avrei mai voluto essere nei panni di quella che ha candidamente ammesso di farsi abitualmente la tinta da sola. L'essere straniera deve averle impedito di cogliere fino in fondo il tono del parrucchiere, da parte sua per nulla preoccupato di nascondere il proprio sincero disprezzo. Pochi secondi prima apprezzava i bei lineamenti di una cliente, «certo, c'è anche qualche chilo di troppo. Ecco, chi mi ricordi: Adele, la cantante». Neanche il tempo di illuminarsi e quell'altra si ributtava a capofitto nella lettura delle intenzioni matrimoniali di Elisabetta Canalis e della posta del cuore in cui Eleonora Giorgi discettava sul fascino del manovale raccontato tra mille pudori dalla signora Tullia.  Con uno spirito analogo a quello che ci rende devote ai personal trainer che ci spronano a colpi di insulti, ogni paragone indecente ci rende anno dopo anno più fedeli allo stesso parrucchiere senza pietà. Per andare da lui ci trucchiamo e vestiamo come nelle migliori occasioni. È bravo ma non promette miracoli o comunque non senza la collaborazione della cliente; per questo presentarsi sciatte è un affronto che lui non sopporta. Ecco perché il fondo si è toccato stamattina e non per colpa della signora amante delle tinte fai da te, ma di quell'altra che ha chiesto in taglio molto corto "così dura di più". Ha sospirato, cercato di spiegare che il capello è un'opera d'arte fino a produrre un grande pezzo di “ceraunavoltismo”: «Una volta queste richieste le facevano gli uomini, se oggi sono le donne a pensare solo alla praticità è tutto finito». Gli ho voluto bene una volta di più. E ho pensato che Adele non è certo una brutta ragazza.

giovedì 7 agosto 2014

Piove, tocca buttarsi sulla cultura

Dal Giornale del Popolo del 25 luglio

Nella provincia toscana prescelta per le nostre vacanze non pioveva così tanto da decenni. Lo stesso accade nella gran parte delle località di villeggiatura qui intorno. Precipitazioni insistenti, maledette e democratiche nel rovinare il soggiorno tanto agli habitué di Forte dei Marmi quanto ai parvenu della Versilia. Il dramma della pioggia non è solo l'assenza di capi impermeabili decenti ma il ciclone che si abbatte sulle consuetudini. Perché se fuori dalla finestra c'è un tempo che fa venir voglia di polenta e spezzatino non serve a nulla tessere le lodi del mare in burrasca: le spiagge sono impraticabili e da queste parti non restano che le città d'arte. Quelle dove si mettono in coda turisti da ogni parte del mondo e con ogni tipo di sandalo, tanto che quando a metà pomeriggio spunta il sole e fa un caldo intollerabile viene quasi da invidiarli, quei popoli che mandano in giro i bambini scalzi anche sui sampietrini e indossano le infradito con una frequenza  spaventosa. Una giornata piacevole, ma non innocua. E per capirlo bisogna arrivare al tramonto, quando il guidatore allergico al mare sospira che "ci vorrebbe più spesso un tempo così per godersi certe città". È lì che bisogna vigilare, perché il ricatto culturale non vinca sulla consuetudine marina. Per le città d'arte tenetevi la primavera, l'estate è fatta per spiaggiarsi.





giovedì 17 luglio 2014

La settimana più lunga

Dal Giornale del Popolo dell'11 luglio

Una settimana e tutto questo ci mancherà. L'agitazione da contagio, lo smarrimento di non sapere chi tifare dopo che un destino crudele ha fatto fuori nazionali e pure squadre preferite di primo e secondo ordine costringendoci ad abbassarci a quella pratica che disconoscevamo fino a pochi giorni fa: il tifo contro. Una settimana e i nostri uomini penseranno già al calcio mercato mentre noi discetteremo su quale gelateria produca il limone migliore nelle località di mare e quali libri portarci dietro per le vacanze. Una settimana e sapremo se questa coppa del mondo è restata in Europa o se ne è andata dall'altra parte del mondo. Una settimana e sicuramente ne parleremo ancora, ma come si parla dei vestiti degli invitati a un matrimonio importante e con quell'elemento che rende irresistibili le conversazioni dei saputelli sotto l'ombrellone: il senno di poi. Una settimana e rimpiangeremo le nottate a guardare le partite giusto per non andare a dormire in solitudine e ostenteremo anche una specie di interesse per il prossimo evento calcistico in grado di trascinare le donne nel terreno degli uomini. Ma soprattutto: una settimana e sapremo se davvero la proposta indecente della moglie del portiere argentino si è avverata. Lei, che ha promesso il marito alla cantante Rihanna per una settimana in caso di vittoria del mondiale, è forse l'unica per cui questa settimana rischia di essere più interminabile dell'attesa della finale. 

L'estate del bambino è sempre più verde

Dal Giornale del Popolo del 4 luglio

Abbiamo fatto le valigie e siamo partite alla volta di una trasferta lunghissima, la più lunga della nostra vita fino ad ora. Pare infatti che sia doveroso offrire ai bambini una scorta di aria buona e verde che gli basti per tutto l'inverno. È lo scotto da pagare per chi ha deciso di vivere in città. Sorvolando sul fatto che dopo due giorni di aria buona e tanto verde quanto i nostri sensi ne possano sopportare siamo in una giungla di bronchiti e nasi che colano, c'è da domandarsi se la terapia sia valida per tutti. Se davvero essere responsabili dell'estate dei più piccoli significhi portarli in posti dove non vivranno mai. Perché qui non stiamo parlando di una vacanza, dove adulti e bambini partono alla volta di non so dove. Qui stiamo parlando di uno schema di vita da grande città, dove i maschi restano al lavoro e le donne con prole, come gli sfollati di una guerra, si trasferiscono a portata di mare, presso parenti compiacenti o appartamenti affittati a lungo termine. Abbiamo cercato di ricreare tutte le comodità possibili, persino le zie a fare da babysitter gratuite alla bisogna. E qualcuno dirà che siamo sempre a lamentarci, ma c'è qualcosa di terribilmente fastidioso nel non essere a casa propria. E sarà la connessione wifi che non funziona a dovere e sarà che per prendere un giornale bisogna fare cinque minuti di macchina. E sarà che il mare è bello ma la prima volta che ci siamo andate abbiamo fatto due ore di preparazione per un'ora di spiaggia. Ma la prossima estate potremmo passarla ereticamente in città. Adulti e bambini a condividere lo stesso, caldissimo e asfaltosissimo, destino.   

Tesoro, c'è un sacchetto nel bagagliaio

Dal Giornale del Popolo del 27 giugno

Su una cosa sono sempre stati d'accordo: no alla cassa da morto, quella specie di appendice del bagagliaio collocata sopra il tetto della macchina che sembra un destino inevitabile per le famiglie con figli. E invece loro, quattro pargoli e una pericolosa maggioranza femminile, non hanno mai ceduto. Ed è per non cedere su quell'unico principio che la battaglia si è fatta da anni campale, centimetro per centimetro nell'abitacolo e nel bagagliaio. Hanno accantonato anche i soliti siparietti sulle scarpe: lui due, lei otto. Lui ha rinunciato all'annuale battuta: ma cosa te ne fai che tanto non usciamo mai? Lei ha accettato l'evidenza che non avrà mai abbastanza occasioni per indossare tutto quello che porta in valigia. È una forma di pace anche questa e tutto va liscio almeno fino alla mattina della partenza, quando a lui tocca caricare le valigie faticosamente preparate da lei. E lì, quando sotto il bagagliaio aperto si assiepano quattro valigie medie e cinque sacchetti, lui perde il controllo. Il sacchetto delle scarpe, quello dei giochi del mare, quello per libri e riviste, il sacchetto per le cose dell'ultimo minuto. Volano stracci, parole pesanti. Lei che spiega l'infinita duttilità del sacchetto («possiamo schiacciarlo sotto il sedile o anche darlo in mano a uno dei bambini»), lui che esamina mentalmente le opzioni che gli restano prima della violenza. E immagina di trasformare la macchina in un volo Ryan Air con un limite inflessibile sui bagagli a mano.

venerdì 20 giugno 2014

Il sortilegio dei mondiali e la magia del tifo contro

Dal Giornale del Popolo del 20 giugno

La prima volta che ho sentito parlare della nazionale di calcio spagnola ero ancora mediamente giovane, uscivo con una rispettabile frequenza e quella sera, in particolare, partecipavo a una visione comunitaria della partita accompagnata da un diluvio che costrinse tutti a togliersi i vestiti una volta arrivati in casa, trasformando un evento sportivo in una sorta di toga party senza nessuna connotazione spinta. Se non sbaglio allora le Furie Rosse vinsero il torneo in questione, che poteva essere un mondiale o un europeo. Non lo ricordo. E se bastano questi dettagli per qualificarmi come essere che di calcio non capisce nulla ma ne rispetta la sacralità capirete il mio imbarazzo. Un imbarazzo che condividerete se anche voi, come me, vi ritrovate la tv accesa alle ore più impensate per seguire stato sconosciuto contro stato minuscolo. Evidentemente accade lo stesso fenomeno che durante le Olimpiadi rende i maschi appassionati di curling: lì scoprono lo sport più impensato, qui qualunque nazione snobbata pure dalla carta geografica. Purché sia sport, purché sia calcio. «E per chi tifi?» «Tifo contro la Spagna, ovvio». E giù un diluvio di riprovazione e incredulità. Ma cos'è il tifo contro? Ma come si fa? E cosa impareranno le bambine? Nessuno arriva a cotanta bassezza. Peccato che il giorno dopo l'universo maschile di riferimento, interrogato, risponda tutto allo stesso modo: non c'è cosa più bella che tifare contro. «E se devi fare queste domande allora è meglio che ricominci col fuorigioco».

Cosa ne sarà di me quando ricomincerò a mangiare?


Dal Giornale del Popolo del 13 giugno
«Dice che è impossibile che io non sia sazia con quel frullato». «Davvero?» «Sì, sì, gli ho detto che forse è il fatto di non masticare nulla che mi da quella sensazione terribile di vuoto». «E qual è la soluzione?». «Le barrette, la soluzione sono le barrette». Sarà che di fronte alla cassiera e con la spesa già bella pronta sul nastro trasportatore non possiamo che dire tutta la verità e nient'altro che la verità, ma il grande dialogo ascoltato ieri al supermercato offre spazio per una tesi di dottorato di quelle finalmente interessanti. La signora molto magra con tanta voglia di masticare si accingeva a pagare due insalate già lavate, del pane e una interessantissima caciotta. Elementi, questi ultimi, che trattava con un distacco evidentemente riservato al cibo destinato a quella parte della famiglia che non ha dichiarato guerra ai latticini e ai carboidrati. Ma la domanda più interessante, nel dialogo delle dimagritissime signore, era quella sul futuro, cruciale e pericolosa come si trattasse di quella sul destino di un rapporto estivo. Cosa ne sarà di noi quando le giornate si accorceranno di nuovo e le vacanze finiranno? Cosa ne sarà di noi quando ricominceremo a mangiare? Lo sappiamo ma non lo confesseremmo neppure davanti alla cassiera del supermercato: tutto finirà, torneremo in città e quei jeans strettissimi che abbiamo esibito tutta l'estate torneranno a essere quello che è lui: un piacevole e irraggiungibile ricordo. Che però potremo rievocare masticando per tutto l'inverno.

La parte giusta (e bionda) della storia è una favola


Dal Giornale del Popolo del 6 giugno 
Non c'è più il principe azzurro. Noi dobbiamo ancora capire se, esattamente come i dinosauri, si è estinto o semplicemente esisteva solo nelle nostre fantasie e in qualche Jurassic Park. Nel frattempo però la notizia è che anche sognarlo non è più di moda. È quanto si apprende leggendo le riflessioni seguite all'uscita di Maleficient, il film Disney in cui Angelina Jolie è una strega cattiva enormemente più affascinante e bella della placida principessa bionda. Un film per il cui svolgimento e la cui trama il maschio, ovvero il principe azzurro, è assolutamente ininfluente. Non serve il suo bacio, il suo cavallo bianco è un mezzo di trasporto inutile. Qualche anno fa ci siamo liberate della sua necessaria avvenenza con Shrek (peraltro responsabile di una svolta pericolosissima per la popolarità del tipo umano del maschio simpatico e di contenuto), adesso possiamo farne del tutto a meno. Adesso aspettate un attimo. Prima di scomodare le serie tv e i modelli culturali, da Sex and the city in giù, che hanno fatto a pezzi la debolezza dei sessi. Prima di scuotere la testa pensando a quanto è rovesciato questo mondo in cui vivranno le nostre figlie. Prima di tutto questo pensate a Lady Oscar. Che era la più affascinante proprio perché vestita da uomo e ha iniziato a diventare una rompiscatole quando i maschi sono diventati più importanti della spada. E poi pensate al lupo cattivo. E pensate a Barbablù. E ditemi se davvero la parte “giusta” della storia non è mai stata nulla più che una favola.

venerdì 30 maggio 2014

Abbiamo bisogno di Meriam

Dal Giornale del Popolo del 30 maggio
Fino a qualche giorno fa la storia della cristiana sudanese imprigionata incinta a motivo della sua fede secondo la sharia era finita in quel serbatoio di notizie terribili che scatenano riprovazione ma non toccano il cuore. C'è tanta di quella roba là fuori, sembra essere il ragionamento inconscio del nostro cervello implacabile come un algoritmo di Google, che qualcosa ci sfugge e non si può farsene una colpa se ogni tanto qualcosa finisce inavvertitamente nella cartella dello spam. Quindi è stato per puro caso che ho letto la storia oltre i titoli. Scoprendo che Meriam è più giovane di noi mamme consapevoli fan dei giochi di legno. A 27 anni ha partorito in una prigione sudanese dove bisogna pregare per rimanere vive e la peridurale non c'entra niente. Dall'infermeria tornerà presto in cella con la neonata e l'altro bimbo di venti mesi. Ho pensato a qualche giorno fa, quando su WhatsApp noialtre ci lamentavamo del senso di soffocamento dello stare in casa coi bimbi con il parco giochi fuori uso per la pioggia. Meriam ha due anni di tempo: il governo sudanese le usa la “delicatezza” di rimandare l'esecuzione della pena per permetterle di allattare la piccola. In ogni lunghissimo giorno di quei brevissimi due anni Meriam sarà la casa, la libertà, gli occhi, il gioco e il nutrimento dei suoi bambini. Abbiamo bisogno di non rimetterla nello spam, per credere che in uno strazio così asfissiante ci sia un amore così sconfinato. 



venerdì 23 maggio 2014

Amarsi per più di una settimana

Dal Giornale del Popolo del 23 maggio

Non è tanto il fatto che Claire Underwood dica di aver scelto un uomo che potesse «amare per più di una settimana». È il fatto che lo dica guardando il suo amante bello, idealista, viaggiatore, fotografo e pieno di braccialetti un attimo prima di tornare dal marito, un politico astuto e spietato, a cui ha dedicato la propria esistenza non meno cinica e innamorata del potere. Come ogni grande serie tv che si rispetti, anche House of cards accarezza in eguale misura la parte più romantica e quella più cinica di noialtri, incollati ormai agli intrighi che ruotano intorno alla signora Underwood e a suo marito Frank, deputato del congresso americano e presto vicepresidente, il cui motto inconfessabile è che la democrazia è enormemente sopravvalutata. In questa serie eccezionale non c'è distinzione tra buoni e cattivi, così la splendida Claire (una Robin Wright di eccezionale bellezza) si rivela ben presto non essere affatto l'alter ego buono del marito (un Kevin Spacey che inizierete a sognare di notte), ma, esattamente come lui, un impasto incredibile di ideali e bassezze, con le seconde nettamente maggioritarie sui primi in nome dell'ambizione. In quelle sere passate sul divano con gli Underwood vi sentirete alternativamente migliori, peggiori e pericolosamente identici a loro. E rischierete di passare in rassegna gli artistoidi idealisti cui concedeste il vostro cuore secoli fa, domandandovi se avrebbero mai potuto superare la regola della settimana di Claire Underwood.

giovedì 22 maggio 2014

Born to be unfamous

Dal Giornale del Popolo del 16 maggio

Ce la vedete Pippa Middleton a schiaffeggiare il principe William in ascensore all'uscita da un party, mentre Kate assiste immobile e sfodera un sorriso composto all'uscita, mentre i fotografi scattano e il maschio picchiato si accarezza attonito la guancia? E come reagirebbe Gisele Bundchen se la sua sorella gemella, certo non brutta, ma più bassa di lei di venti centimetri buoni, schiaffeggiasse il cognato giocatore di football? E se Cecilia Rodriguez si avventasse come una furia su Stefano De Martino sotto gli occhi di Belen? Ecco, per capire cosa sia successo davvero in quell'ascensore di New York tra Jay Z, marito di Beyoncé, e sua cognata Solange, non basta accertare la dinamica dei fatti (che pure ci terrà incollate per settimane ai migliori siti di gossip), ma bisogna scomodare tutta la psicologia da quattro soldi che conosciamo per analizzare il rapporto tra sorelle famose. Essere sorelle di, per una vita, non sarebbe male se non ci fosse la tortura della didascalia. Quella che specifica che siete gemelle, in una foto in cui tu e lei sembrate Stanlio e Ollio, e poi che sei vestita leggermente peggio di quel giorno in cui tua sorella sposava un principe e persino tu, per un giorno, sei sembrata bellissima a tutto il pianeta. O ancora quella che ti descrive come la sorella “unfamous”, come avviene in tutte le ultime immagini di Solange (sorella di Beyoncé). E spiegatemi se non prendereste a schiaffi il primo che capita, ma ancora più volentieri quello che la sorella perfetta l'ha persino sposata, scegliendo consapevolmente una condizione che a voi è stata imposta dal destino.

lunedì 12 maggio 2014

Il ritratto di famiglia

Dal Giornale del Popolo del 9 maggio

Siamo d'accordo che sarà un ritratto vecchio stile. Il nostro modo infinitamente snob di rispondere alla sbornia digitale che riempie le memorie dei nostri telefonini e svuota gli album fotografici. Certo, lo facciamo anche per dare una soddisfazione all'amico col pallino della fotografia. Verrà a studiare la luce per individuare il momento adatto e poi ci racconteremo che l'unica stanza disponibile è – guardacaso – la migliore. Speriamo che porti il cavalletto per darsi importanza e per darne a noi. Un ritratto di famiglia è una cosa seria, di quelle per cui si dovrebbe andare dal parrucchiere e farsi trovare in una forma fisica decente. Il giorno che decise di far fotografare i suoi tre figli mio nonno li caricò tutti sulla bicicletta. Dodici chilometri di strada e curve in salita per arrivare a uno studio dove il fotografo intimò ai bambini di guardare sempre dritto nell'obiettivo. Il risultato è una foto sensazionale, di quelle tipiche dei tempi in cui il bianco e nero era un condizione e non un filtro di Instagram, con la più grande che tiene in mano i piccoli e fissa il fotografo senza l'ombra di un sorriso. Sono passati anni da allora e ancora mia zia ricorda la concentrazione di quel giorno, convinta com'era che se avesse anche solo inclinato lo sguardo la macchina non avrebbe funzionato. Ecco spiegata la serietà che manterremo durante la lavorazione del nostro ritratto di famiglia. E nessuno pensi che stiamo trattenendo il respiro per ingannare l'obiettivo.

Il selfie di famiglia

Dal Giornale del Popolo del 2 maggio

Nel nostro pasquale c'erano mezzo metro di tovaglia, la faccia intera di mio padre, un occhio a testa mio e dei miei cugini e, se solo l'audio fosse un'opzione praticabile, avremmo avuto anche la voce della zia che grida “ciao ciao” nonostante i ripetuti tentativi di spiegarle in ogni modo che un selfie è una foto e non un filmino. Ora che l'autoscatto con cellulare, meglio noto – appunto - come selfie, ha fatto la sua comparsa anche nella provincia più profonda e nelle feste comandate possiamo aspettarci di tutto e soprattutto abbiamo una prova ulteriore e definitiva (se mai ce ne fosse stato bisogno) dell'estrema vanità del nostro tempo. Perché se il selfie pasquale in famiglia poteva giustificarsi come cartolina virtuale ai familiari assenti, quelli che ci facciamo tutti i giorni hanno il solo e unico scopo di confortare il nostro ego. In qualunque variante siano concepiti. Dal selfie con bimbo in braccio, a quello con invidiabile fisico post partum e occhiali da sole (vedi alla voce Melissa Satta) a quello, ormai passato alla storia, del parterre dei meglio attori di Hollywood durante la cerimonia degli Oscar, diventato in poche ore il tweet più condiviso della storia. Perché, insomma, se non è condiviso sui social che autoscatto è? E se dopo questa osservazione vostra madre deciderà di aprirsi un profilo Facebook sappiate che nulla la fermerà. Nemmeno l'accidentale caduta dello smartphone nel water.  

Are you ready for change?


Dal Giornale del Popolo del 25 aprile
Poteva essere tra un mese o tra un anno. Sapevamo che qualunque nuova canzone di Chris Martin sarebbe stata immediatamente collegata alla sua separazione da Gwyneth Paltrow. Perché va bene la teoria del lasciarsi senza coltello tra i denti, ma se a sposarsi sono un'attrice e un cantante la gente vuole ciò per cui ha pagato il biglietto: almeno uno straccio di verso di canzone in cui scorgere il riflesso della rottura, assaporare il gusto salato delle lacrime dei vip con lo sguardo perso nel vuoto a pensare quanto sia maledettamente musicabile l'infelicità sentimentale. Teorie antropologiche a parte, la nuova canzone dei Coldplay è arrivata e siccome è un po' lagnosetta e cantata da un frontman fresco di uncoupling noi abbiamo deciso che serve a cantare il suo struggimento e dunque anche tutti i nostri eventuali (struggimenti). Importa poco che di vagamente riconducibile alle vicende autobiografiche ci sia giusto un “I am ready for change”: sono pronto per il cambiamento. Le voci incontrollate dopo la separazione dicevano che lui non sopportava più le manie alimentari salutiste della moglie, determinata a non far mangiare carboidrati ai figli, dispensatrice di una Coca Cola a settimana e fiera di concedere un biscotto Oreo ogni tanto come prova della propria magnanimità. Intanto abbiamo saputo che probabilmente ad ascoltare la canzone ci sarà anche Valeria Marini, in via di separazione a meno di un anno da un matrimonio fiabesco, tutto veli, strascichi, abito bianco e invitati vip. E noi non sappiamo se siamo pronti per il cambiamento.

venerdì 18 aprile 2014

È lui e sarà lui. Storia di una ragioniera

Dal Giornale del Popolo del 18 aprile

Dice che era un bel ragazzo e niente di più. Di sette anni più grande di lei, che ancora studiava da ragioniera. L'incontro a una festa in casa di amici, «una festa di pomeriggio, come usava a quei tempi». Dev'essere stato un invaghimento pomeridiano allora a spingere il Giancarlo all'audace proposta: posso venirti a prendere a scuola qualche volta? Dice che i fratelli lo canzonavano quando li costringeva a mangiar presto «per andare a prendere la bambina». Poi un giorno la mamma della bambina si è messa in mezzo. 17 anni contro 24 le parevano un'enormità: «Cosa vuole da te quel vecchio?». E giù guerra, di quelle strategiche e spietate che solo una madre può intraprendere contro un pretendente ritenuto non all'altezza. Ma la bambina di guerre non vede necessità: «Senti, la mia mamma fa così, vediamoci ogni tanto senza grandi impegni». «Così non mi interessa», risponde lui con la decisione e il garbo di un uomo di ventiquattro anni. La ragioniera non allestisce nessun letto dei lamenti: bello era bello ma c'era tutto il tempo di sistemarsi. Passano i mesi e la macchina del Giancarlo sotto la scuola non si vede più. Poi una domenica alla Messa la ragioniera tra la gente scorge una faccia conosciuta. E nel tempo di farsi largo tra la folla si chiarisce le idee più che in tanti mesi precedenti. «Allora domani vengo a prenderti a scuola». Stavolta l'artiglieria della mamma serve a poco. La ragioniera ha sviluppato una fantasia narrativa per raccontare le bugie che le servono a preparare il terreno alla presa di posizione definitiva di fronte alla famiglia: «È lui e sarà lui». È lui da cinquant'anni di matrimonio e ora c'è solo da vincere la battaglia per ottenere da figli e nipoti un festeggiamento adeguato a cotanto traguardo.

venerdì 11 aprile 2014

Kate e il marchio dei Windsor

Dal Giornale del Popolo dell'11 aprile

Il vizio della calza color carne, da sempre il più grande ostacolo all'ammirazione incondizionata per Kate Middleton, è passato per un attimo in secondo piano. E non solo perché in primo piano c'erano le chiappe tatuate di un mahori in perizoma. Ogni giorno e photo opportunity di questo lungo viaggio dei duchi di Cambridge in visita ufficiale in Nuova Zelanda sembrano fatti apposta per farci appassionare al marchio di fabbrica dei Windsor che Kate interpreta meravigliosamente, senza alcuna sbavatura né virtuosismo da principessa ribelle, con l'affidabilità e la dedizione che ci si aspettano da una borghese coi piedi per terra che tiene ben stretto il piatto in cui mangia e lo fa con il sorriso di chi interpreta un ruolo che non le dispiace e che vive con la necessaria ironia. L'ironia che ti consente di stare di fronte a un mahori chiappe al vento con cappellino rosso e cappotto in tinta, lasciando trasparire un divertimento che mai offende il protocollo. O quella di quando, filiforme in soprabito azzurro firmato McQueen, fa una smorfia divertita di fronte al marito ormai ostaggio della caduta di capelli che inciampa davanti al flash dei fotografi. E ancora l'aplomb con cui porta in processione il grassoccio principino di otto mesi anche quando una folata di vento le alza la gonna scoprendo gambe, manco a dirlo, magrissime. E mentre scorri una fotogallery dopo l'altra capisci che Kate non si presenterà mai in giro senza calze come una qualunque socialite. Il contegno regale è garantito dalla scelta più conservatrice, necessaria anche se incondivisibile. Quella sulle calze.

L'antibiotico

Dal Giornale del Popolo del 4 aprile

Diventare grandi significa avere la massima stima per i pediatri, gente che per mestiere deve confrontarsi (eufemismo) con la più pericolosa mutazione dell'essere umano, quella in genitore. Dovremmo scriverci un trattato sull'umanità variamente orribile che si trova nella sala d'aspetto di un pediatra, dove madri occhialute valutano il grado di educazione dei figli degli altri e coppie con bambini in fasce si scandalizzano per la presenza di bimbi malati, giacché notoriamente si va dal medico quando si è sani come pesci. Se certa gente si comporta così prima di entrare, figurarsi come può diventare di fronte al medico, che per definizione dovrebbe possedere risposte e dispensare grandi verità. Peccato, e ci se ne accorge solo avendoci a che fare, che la medicina sia tutt'altro che una scienza esatta e che il medico più bravo sia proprio quello che riesce a far capire questo concetto a gente che vorrebbe la pastiglietta magica per rimettere in sesto il pargolo e tornare là dove la sua presenza è richiesta con un'insistenza pari a quella che lo costringe sul divano a vedere la Pimpa, ovvero in ufficio. Frasi come “dobbiamo aspettare a dare l'antibiotico” ti rivelano che il mondo non si divide solo in destra e sinistra, poesia e prosa, capello corto capello lungo, doccia o vasca da bagno. Ci sono anche i pro antibiotico e i contro antibiotico. E così eccoci qui a ad aspettare di capire cosa fare, facendo intanto quello che ci riesce meglio: cominciare a dividerci dentro casa. Che non sia mai che si perda un'occasione per litigare.

domenica 30 marzo 2014

Il conscious uncoupling e Lucio Dalla

Dal Giornale del Popolo del 28 marzo

Diversi mesi fa il direttore di Vanity Fair Usa volle raccontare uno delle star più in grado di attrarre ammirazione e odio in eguale (e smodata) misura: Gwyneth Paltrow. L'articolo non è stato ancora pubblicato, ad essere stata raccontata è invece la vicenda dell'opposizione all'uscita del pezzo da parte di Gwyneth, che avrebbe espressamente chiesto via email ai propri amici di non parlare con la reporter della rivista. L'altro ieri, forse, abbiamo capito perché. Con una dichiarazione sul sito di lifestyle dell'attrice, Gwyneth Paltrow e Chris Martin hanno annunciato la fine di un matrimonio durato dieci anni e che hanno cercato di salvare per circa un anno. Gwyneth scelse il suo sito anche per rivelare di aver sofferto di depressione post partum dopo la nascita del suo secondo figlio, Moses. Questa volta Goop (la bibbia del lifestyle fighetto, del cibo salutare e del fitness più audace) ha ospitato, in margine all'annuncio della separazione, un trattato sul cosiddetto “conscious uncoupling”. Il “ci amiamo ma ci separiamo” con cui i due mettono la parola fine è motivato da una sorta di teoria in cui per il bene dei figli e soprattutto del proprio equilibrio interiore il conflitto viene gestito come un arricchimento reciproco. Le separazioni dolorose, i sensi di colpa, la rabbia e il senso di fallimento devono essere combattuti, guardandosi in faccia da adulti e genitori (il coparenting è fondamentale) in un mondo in cui l'aspettativa di vita è aumentata al punto da rendere francamente irrealistica la prospettiva del “finché morte non ci separi”. A tirarci i piatti in testa e accapigliarci su chi si prende il tappeto dell'ingresso rimarremo solo noi, rozzi consumatori di grassi saturi a cui tutta la teoria del conscious uncoupling risulta meno convincente di due soli versi di Lucio Dalla: leva il tuo sorriso dalla strada/ e fai passare la mia malinconia. 

venerdì 21 marzo 2014

Ora che lui ha il mio numero di telefono

Dal Giornale del Popolo del 21 marzo

Mai nessuno mi aveva chiesto il numero di telefono con tanta insistenza. Che poi, si dice, è una pura formalità, visto che al giorno d'oggi basta dare le proprie generalità per essere ritrovati con poco sforzo in qualche social network. E serve a poco esibire la propria fiera astinenza da Facebook; prima o poi in un social ci capiti e lì verrai trovata. Il che va anche bene, perché quello delle ragazze riservate è uno schema fatto apposta per durare poco e perché amare è sempre un po' stalkerare. Insomma ho resistito a lungo perché prevaleva il sospetto e perché ancora, dopo anni di frequentazione assidua di internet, shopping on line e pure compilazione, per quanto sciatta e saltuaria, di un blog tratto da questa rubrica, in me prevaleva il sospetto. Perché ancora mi corre un brivido lungo la schiena quando vado a cercare foto di celebrities sul sito del Daily Mail e mi compare la pubblicità di un paio di scarpe di cui ho cercato il prezzo on line molte settimane fa. Non serve che mi spieghino, né che mi rassicurino spiegando la genesi automatica di algoritmi astrusi: io trovo sempre inquietanti le pubblicità correlate alla mia casella email di Google, anche se non pubblicizzano metodi miracolosi per combattere il sovrappeso e la cellulite. Poi due giorni fa si è bloccato tutto. L'email che non mi riconosceva più, il blog rimosso, avvisi di accessi sospetti al mio account che mi hanno fatto temere un Wikileaks con le mie email pronto a rivelare il segreto più imbarazzante: non c'è niente di piccante da rivelare. E per evitare a me e a voi tutto questo che ho ceduto e ho dato a Google il mio numero di telefono. 

mercoledì 19 marzo 2014

Scontato quanto un tradimento

Dal Giornale del Popolo del 14 marzo

Poco tempo fa ci è toccata la storia del presidente francese Hollande, che ha tradito la compagna con un'attrice. Prima ancora (giusto per dirne una) quella del marito di Tory Spelling, la Donna Martin del telefilm degli anni Novanta Beverly Hills 90210. Il ganzo ha pensato bene di sposare la nostra eroina, concepire con lei quattro figli in meno di sei anni e poi farsi beccare in flagrante adulterio con una giovincella che non ha risparmiato ai giornali i dettagli della loro scappatella, scene strappalacrime in cui lui le parlava dei suoi bellissimi figli e delle difficoltà del suo matrimonio un attimo prima di sedurla. Si vede che incolpare un bicchiere di troppo risulta troppo anni Novanta. Eravamo lì a ragionare su quanto la vita sentimentale che ci raccontano i giornali somigli a quella di Beautiful quando è arrivato un illuminante articolo di Vanity Fair Us sulla separazione del boss di Google, Sergey Brin, dalla moglie da cui ha avuto due figli. Una storia nota da mesi e che il settimanale americano ha raccontato mettendo in fila tutti i dettagli che contano, dal matrimonio in spiaggia della coppia al loro sogno di sconfiggere le malattie (lei genetista, lui mr. Google), tutto naufragato quando è arrivata una giovane marketing manager della società. Descritta come una ragazza intelligente, con un grande senso del “timing” e in forze al team che si occupa del lancio dei nuovi occhiali di Google. In fondo è sempre lo stesso copione: arrivano al momento giusto e portano in dote l'illusione più pericolosa: quella che bastino delle lenti nuove a cambiare tutto.

Un travestimento ti dirà chi sei

Dal Giornale del Popolo del 7 marzo 2014

Animate dalla debole speranza che l'educazione possa prevalere sui geni, forniamo alle prole una serie di insegnamenti per evitare i traumi che hanno affollato le nostre interminabili infanzie. Mai fidanzarsi
senza il chiaro ed esplicito consenso dell'altro. Peggio dell'essere mollata, bimba mia, c'è solo il fatto di non essere ritenuta degna neppure di un rifiuto. E non dovrò mica raccontarti di nuovo di quell'amica che si ritrovó col cuore spezzato davanti alla scatola dei Lego? E, una volta recitate all'asilo, simili parti rischiano di rimanerti incollate addosso per molto tempo. Sapere subito in che parte del Carnevale piazzarsi. Un'infanzia passata a vestirsi da ape, da fiore o da topo ti vedrà eternamente contrapposta al gruppo delle principesse, Biancaneve, Raperonzolo, sempre pronte a mietere nei campi dove altre hanno seminato simpatia e conversazioni interessanti. Quei due mondi possono sfiorarsi ma mai veramente integrarsi. Quindi quando le bambine vestite da principesse bisbetiche escluderanno te, mia bella ape Maia, dal loro gioco fatto di filastrocche sciocche, tu non avere paura e dirigiti verso i maschi. Al prezzo di qualche calcio nel sedere da qualche ganzo vestito da uomo ragno potrai trovare il tuo bel leone. E giocherete felici e contenti lontano dalle principesse arpie dai lunghi capelli biondi.


domenica 2 marzo 2014

L'emancipazione, anche nel 2014, sono un paio di lenti a contatto

Dal Giornale del Popolo del 28 febbraio

Controvento si fa per dire. A quasi una settimana dalla fine di Sanremo nessuno si ricorda quasi più il titolo della canzone che ha vinto il festival (Controvento, per l'appunto), ma tutte sappiamo che a cantarla era una cantante che da un anno all'altro ha pensato bene di presentarsi dimezzata e agghindata da gran bellezza. Arisa ha buttato via gli occhiali neri, ricordandoci quello che l'ultima moda passeggera rischiava di farci dimenticare: il primo passo verso l'emancipazione sono le lenti a contatto. Gli occhiali, soprattutto quelli vistosi da nerd, possono rendere sexy solo coloro che li indossano senza averne bisogno. Nel mondo delle bellezze magre non c'è posto per chi stringe le palpebre per leggere i titoli di coda di un film né per chi porta scarpe con tacco basso. Nel pericoloso e desiderato mondo delle magre si entra in punta di tacco e vestiti attillati. Il copione della redenzione (che sarebbe più appropriato definire vendetta) prevede che si esibiscano con sfacciataggine e metodo le grazie nascoste fino a ieri per via di complessi spacciati per gusti particolari. “Sai, a me piacciono questo genere di abiti”. Diciamo tutte così e poi, al primo lotto di chili persi, eccoci lì a indossare tubini aderenti e tacchi vertiginosi. Cinture in vita. Abiti smanicati per dire al mondo che le nostre braccia non sono più un antistress. Nessuna come una ex grassa sa quanto sia eccitante mettersi le cose che si mettono tutti. Quelle che potrà permettersi fino al prossimo carboidrato.

venerdì 21 febbraio 2014

Il rebus dell'economia domestica


Dal Giornale del Popolo del 21 febbraio
In Sex and the city toccava a Miranda, l'avvocatessa di successo e madre single, sorbirsi le ramanzine e gli sguardi di disapprovazione di una governante vecchio stile scandalizzata dalle disinvolture del suo stile di vita. E bene o male ci sentiamo tutte come lei, sotto esame come neanche durante la visita della mamma, di fronte alle buon'anime che ci aiutano in casa o coi bambini e alle quali, come fosse una “ricompensa” per i pesi che ci tolgono, ci ritroviamo ad attribuire una sorta di autorità morale sulle nostre vite e il modo in cui le conduciamo. Come se il prezzo di avere le camicie stirate e il soggiorno in ordine quando si torna dal lavoro valesse la rinuncia a un po' di sovranità tra le mura domestiche. Tra di noi ci raccontiamo che sono i soldi meglio spesi, che certo a volte ci manca la privacy, ma a qualcosa bisogna pur rinunciare e soprattutto: ormai non sapremmo più fare senza. Poi siamo tutte lì, a confrontarci su cosa ha detto a me e cosa ha detto a te. Una ha da scontare il giudizio inflessibile sulla camera dalla bambina: sembra un negozio, come fa a diventare intelligente con tutti quei giochi? Valle a raccontare che sono tutti pensati, che sono di legno e non made in China. Bisognerebbe sintonizzare la bambina davanti all'iPad per un'oretta per aver il tempo di mostrarle quanto sono educativi i suoi giochi. C'è anche quella che si preoccupa dell'eventuale arrivo di un fratellino e di come la prenderebbero i parenti. Ma tutte aggrottiamo la fronte di fronte a quella più giovane e affabile. Che quando arriva saluta calorosamente soltanto il papà del bambino.

venerdì 7 febbraio 2014

Cose da imparare fin dall'asilo

Dal Giornale del Popolo del 7 febbraio

I nostri ragazzi sono stressati. Non lo dice la nonna che fa i salti mortali per accompagnare la nipotina a danza e il nipotino a basket in tempo per prendere il cuginetto che rientra dalla lezione di musica. Siccome ogni tanto quel che il senso comune nota gli esperti certificano, è arrivata ieri Pro Juventute a dire che una delle cause del forte incremento, registrato negli ultimi anni, di giovani al beneficio di una rendita di invalidità per turbe comportamentali è dovuto allo stress cui sono sottoposti fin da piccoli per prepararsi a una carriera professionale di successo. Leggiamo queste cose con le sopracciglia aggrottate, al massimo concedendo un classico “si stava meglio quando si stava peggio”. Fino a che non sono i nostri figli e nipoti a dover andare all'asilo e allora la processione di ispezioni alle scuole e colloqui con maestre cinguettanti e in grembiule ci mette al muro. Molti di noi dell'asilo ricordano il tappeto blu, il cesto enorme di Lego, il suono dei braccialetti della maestra più grassa e simpatica che seduta dietro a una cattedra disegnava principesse bellissime per farcele colorare. L'introduzione della psicomotricità fu salutata con il sospetto e l'entusiasmo che si riservano alle cose nuove. I bambini di oggi dopo la ginnastica devono trovare il tempo per imparare le regole della strada, i colori, il ciclo dell'acqua, il peso del ghiaccio, le stagioni. Non gli resterà il tempo per fidanzarsi con dei Lego sulla testa a mo' di vischio con un bambino che l'anno dopo non si ricorderà più dell'impegno preso. O forse impareranno che i tanti impegni sono la miglior cura per un cuore spezzato. 

venerdì 31 gennaio 2014

Una casa per le vacanze

Dal Giornale del Popolo del 31 gennaio

Sei mesi fa l'idea, tre mesi fa le prime ricerche informali, prima di Natale una parziale scrematura di località, con l'anno nuovo i primi risultati grazie a settimane di dedizione di una amica a tempo pieno e una part time. Una decina di giorni fa avevamo cinque possibili sistemazioni per le vacanze di questa estate, con un anticipo di cui noi donne ideatrici dell'evento andavamo comprensibilmente fiere. Cionostante abbiamo perso la villa rosa vista mare e con piscina perché, "sa, c'è chi si muove per tempo”. E noi che ci aspettavamo una stretta di mano e i complimenti per la tempestività. Poco male. Si vede che non saremo annoverati tra i prenotatori intelligenti di vacanze, lista in cui ora ci piace pensare figurino solo ragionieri molto noiosi e molto ricchi. Chiacchiere a parte, abbiamo una casa per le vacanze con gli amici, i bambini e zero animali domestici e davanti a noi una cosa pericolosissima: mesi di attesa. Mesi per cambiare idea, trovare occasioni migliori, litigare in famiglia o con gli amici per i motivi più futili, temere di essere vittima di una di quelle truffe perfette di cui si sente parlare ogni anno intorno a maggio per terrorizzare chi usa internet per prenotarsi le vacanze e ringalluzzire gli ultimi giapponesi frequentatori di agenzie di viaggi. Tutto può succedere in questi mesi e ci consola solo il fatto di aver già affrontato a una buona parte dei litigi possibili sul budget dentro casa. Perché andremo pure in vacanza insieme in una casa che miracolosamente ha messo d'accordo le aspettative degli uni e il portafoglio degli altri. Ma noi intendiamo sperperare tutto negli stabilimenti più in voga della Versilia. Agli altri componenti della famiglia lasciamo la spiaggia libera. E non si prevede alcuna battaglia sull'affidamento dei bambini.

La politica vicina alla gente

Dal Giornale del Popolo del 24 gennaio

Forse non ha distrutto lo studio del suo compagno causando milioni di danni e la scena più cinematograficamente perfetta che la politica potesse mai sperare di produrre, ma Valerie Trierweiler ha fatto molto per avvicinarci alla politica. Di fronte al nostro improvviso interesse per le cronache dei giornali c'è sempre chi si mette a cavillare, citando (come ogni insicuro che si rispetti) il sondaggio di turno, secondo cui la maggioranza dei francesi ritiene che la vita sentimentale di Francois Hollande sia affar suo. Figurarsi. Sono affari nostri i litigi dei vicini di casa, come può non esserlo la crisi di coppia a mezzo stampa del presidente francese? Tanto più che non ci aspettavamo nulla. Tanto più che l'Eliseo è sopravvissuto indenne al matrimonio di Nicholas Sarkozy con Carla Bruni, che pure nel suo curriculum aveva acrobazie sentimentali promettenti. E invece i fuochi d'artificio ce li hanno regalati uno scialbo progressista e la sua compagna. E pensare che allora, ai tempi dell'elezione, la cosa più audace e di sinistra sembrava quell'appellativo rivendicato orgogliosamente, “compagna”, ché dello status di moglie Valerie non ha mai sentito il bisogno. Poi è arrivata un'attrice, carina e giovane. Una scappatella in motorino come l'ultimo degli amanti di provincia. La foto sul giornale. La legittima titolare dell'affetto che si fa una settimana in ospedale per l'insopportabile vergogna. E le voci che si rincorrono. Da quella (smentita) sul litigio memorabile e violento a quella che darebbe Valerie disposta al grande gesto. Un dettaglio che ci fa sentire improvvisamente in dovere di dire la nostra. Perché non c'è perdono più doloroso di quello che non viene chiesto. E rischia di essere rifiutato.

Contagiati dall'isteria

Dal Giornale del Popolo del 17 gennaio 2014

C'era un tempo in cui un semplice raffreddore non ti espelleva dalla vita sociale. Poi sono arrivati i bambini e in questo periodo dell'anno l'argomento più in voga tra ogni madre che ci tiene a mostrarsi tale è l'elenco delle malattie del pargolo e il dilemma straziante sull'asilo nido: perché ci siamo convinti che farli socializzare è importante, non vogliamo certo che crescano asociali come noi, diciamo smanettando sul nostro smartphone per vedere cosa si dice su Twitter mentre il maschio seduto di fianco fa lo stesso; ma se il prezzo del gettare basi per una buona vita mondana è il contagio ininterrotto con microbi sconosciuti e devastanti, siamo sicuri che il gioco valga la candela? Mentre i fortunati con figli momentaneamente indenni si sforzano di credere che sia merito dei medicinali omeopatici e non solo di una dose enorme e precaria di fortuna, chi non ha figli ma ha amici che ne hanno deve sottoporsi a un esame di coscienza impeccabile prima di suonare al campanello. Una volta entrato in casa basterà uno starnuto, un colpo di tosse o un fazzoletto tirato fuori una volta più del dovuto a scatenare la riprovazione morale di quelle che un tempo erano persone normali e adesso sono genitori terrorizzati. Non va meglio a chi si sforza di andare in ufficio nonostante i malanni di stagione e invece del patentino di eroe si vede consegnato quello di untore onorario, coi colleghi dotati di prole pronti a rinfacciargli ogni starnuto del piccolo una volta rientrati a casa. Non è più tempo neanche per stare male, signora mia.


venerdì 10 gennaio 2014

Quarant'anni straordinari


Dal Giornale del Popolo del 10 gennaio
L'ammiratore numero uno, quello che venderebbe metà del parentado per la scultura in oro che Marc Quinn le ha dedicato, è lì a domandarsi se invecchierà come Brigitte Bardot o come Sofia Loren. Poi sfoglia l'ennesimo giornale, si imbatte in una delle centinaia di pubblicità cui Kate Moss ha prestato se stessa stravolgendo di volta in volta il marchio che la ingaggiava e pensa che se c'è qualcuno che può inventare una terza via, un modo nuovo e inimitabile, un new labour dell'invecchiamento, è proprio lei. La modella che a meno di vent'anni scandalizzava perché ritenuta uno sponsor dell'anoressia in passerella e qualche anno dopo finiva su un tabloid durante un festino a base di cocaina per uscire dalla gogna, un paio di mesi dopo, con il cachet raddoppiato. Ce n'è abbastanza per indignarsi di fronte a un tempo che il giorno dopo riabilita chi ha tentato di distruggere il giorno prima; oppure per calare il cappello di fronte a un personaggio che ha marchiato a fuoco il nostro tempo e che il 16 gennaio compirà 40 anni. Difficile scegliere la foto con cui festeggiarla: lei al festival di musica con quel poco di buono del fidanzato storico, in shorts e stivali da pioggia infangati? Lei sposa di un musicista meno poco di buono del primo e vestita come una Venere di Boticelli? Lei per mano alla figlia che indossa la maglietta “I love Kate Moss”? Lei ha già scelto e i quaranta li festeggia vestita da coniglietta sulla copertina di Playboy. Aspettiamo al varco quelle che discetterano sul photoshop usato nel servizio. E per i loro quaranta architettano una pizzata preceduta da un massaggio collettivo con le amiche e una sessione di manicure semipermanente. Auguri Kate, straordinariamente in grado di rendere insopportabile l'ordinario.

Ritorno alla normalità

Dal Giornale del Popolo del 3 gennaio

Saranno questi giorni normali dentro alla sequenza spietata di feste comandate. Sarà il torrone avanzato dal giorno di Natale che da allora arriva sul tavolo alla fine di ogni cena. Sarà il generale clima di festa che per una malintesa proprietà transitiva s'estende ai giorni normali fino a farci dimenticare se sia lunedì, martedì o venerdì. Sta di fatto che tutte le nostre routine consolidate sono andate all'aria e l'imminente fine delle feste ci trova indecisi tra il sollievo per il ritorno alla normalità e la prematura nostalgia di quell'orda di parenti che ha animato infinite serate di pettegolezzi. Dal regime alimentare agli orari dei bambini, alle deroghe ripetute a tutti quei princìpi che durante l'anno ci sembrano così indispensabili. Per gli adulti è appunto il torrone a fine pasto, intanto nell'altra stanza ci sono bambini cui vengono concesse le ore piccole, le cene con mani sporche e i giochi rumorosi tirati fuori tutti insieme disordinatamente. Non c'è neppure bisogno di contingentare i cartoni animati: appagati delle ripetute distruzioni di alberi di Natale e presepi non li chiedono neppure. Giusto il tempo di abituarci a queste eccezionalità che è già ora di rifare i bagagli al contrario e prepararsi a tornare agli orari di un tempo, agli obblighi, alle scuole, ai litigi perché “quando lavori tu non mi chiami mai e stai sempre su whatsapp con chissà chi”. Nelle nostre case senza camini né suggestivi panorami. Dove le defaillance del wifi non sono all'ordine del giorno e dove il torrone non è mai entrato.